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Diogene Malamati
un hombre que ha aprendido a agradecer las modestas limosnas de los dias
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My Second Chance

settembre 22, 2006 //
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VENERDÌ, 22 SETTEMBRE 2006

L’italia è uno dei paesi maggiormente minacciati dalla globalizzazione economica, politica, culturale. Un tanto per chiarire, a proposito di ciò che non si deve dire nella dimensione di difesa nazionale.

Ci sono produttori di rilevanza assolutamente mondiale, per quanto la loro italianità sia piuttosto discutibile ormai, che sono minacciati da una competizione, specialmente cinese, che si muove in modo infido, sottile, comunque molto poco comprensibile.

La tradizione della moda, recentissima ma spettacolare e riconosciutissima ad ogni livello di esistenza globale. Quella del cibo, piuttosto recente ma inattaccabile di fronte al mercato di alto e medio livello, del vino e del design, anche se tutte comunque originate nel dopoguerra e in fondo poco dotate di italianità, sono il patrimonio da difendere.

Soprattutto in termini di qualità assoluta, quella per capirci che si identifica con Gianni Versace, Gualtiero Marchesi, Luigi Veronelli, eppoi l’intera generazione di figli di imprenditori lombardi che prima della guerra stabilizzarono l’impianto manufatturiero che, ben educati in una università che non aveva rivali, decisero di affermare il tono estetico moderno ed internazionale per cui lo stile italiano si difende ancora oggi davanti a tutti: mi vengono in mente Zanotta, Cappellini, Moroso solo per dirne alcuni, gente che guardava ed ascoltava Vico Magistretti, Achille Castiglioni, Ettore Sottsass.

E’ la generazione dei tecnocrati, e non quella dei politici, che può fare qualcosa per mantenere in vita una qualunque identità nazionale. Perchè maggiormante connessi con il potere vero, quello di dare lavoro, perchè più lucidamente consapevoli del grave stato di degenerazione dell’imprenditoria, perchè più positivisti nei confronti di una produzione e di un consumo che dal punto di vista politico, ideologico e filosofico infine, forse non ha più alcun senso.

Il futuro della produzione, e del consumo, la materia che sta al cuore delle riforme del lavoro e dell’istruzione professionale, è l’oggetto di studio di quella innovazione invocata in ogni luogo ed in ogni lingua. Ma la figura professionale maggiormente indicata per suggerire modi e luoghi della riforma non è immediatamente identificata.

Romano Prodi si deve occupare della ricostruzione di leggi e regolamenti adatti a questa ridefinizione, che probabilmente consiste soprattutto di una presa di consapevolezza della vera natura del lavoro e della istruzione. Le quali sono forme di comunicazione per la costruzione di una unità nazionale di intenti e scopi.

La qualificazione di questo leader, almeno in termini di visione globale tecnocratica ed economica, mi pare fuori discussione, non vedo rivali all’altezza. Ma rimangono, per ora, alcune incognite e zone di competenza non ottimale intorno a lui.

Soprattutto in termini di cultura europea e federativa. Inoltre egli dovrà resistere alle pressioni dei suoi alleati, perchè un anno di riforme sarà meglio di quattro anni di ricerca dell’equilibrio a tutti i costi.

A differenza di Romano Prodi, Riccardo Illy ha in mano una chiave che può aprire molte prospettive inedite nei termini in cui il primo è scoperto.

La sua esperienza di costruzione del mercato gli permette di Sapere che, in termini di definizione del mondo, nulla è dato e che immaginare una scena è il miglior contributo che si possa dare alla sua attuazione. La sua posizione è più intelligente che fortunata, guidare una regione del tutto speciale è utile per la messa in atto di un governo esemplare a tutti gli effetti.

L’innovazione immaginata da Riccardo Illy non è quella degli imprenditori veneti, che nemmeno vagamente possono progettarla, nè quella dei notabili romani, che nemmeno vagamente vogliono. La sua è una innovazione che riguarda l’intera percezione del mercato e del suo scopo, quella che non teme prima di tutto che il mercato esistente si dissolva. Deve solo trovare il modo di comunicarla.

22 settembre 2004

Ho deciso di chiedere un appuntamento ad Angelo, che ho chiamato due volte oggi dopo che e’ stato qui insieme a Riccardo per la nuova serie di interviste, per presentargli il progetto che dovrebbe gia’ essere in mano di Roberto Cosolini, assessore regionale all’universita’ e ricerca, oltre che lavoro e formazione professionale. Per correttezza, e anche per avere il suo appoggio.

Imprevedibile e stonato almeno quanto lo sono io stesso, mi suggerisce di chiamare Michela che controlli l’agenda: mi sembra un semplice rifiuto, ma seguiro’ le sue istruzioni. Una nuvola nera all’orizzonte da quando ho alzato il telefono per chiamarlo.

After all, why live in sunlight with clean & happy friends when there’s a lonely, dark, damp & squalid basement available for occupation?

22 settembre 2003

Sentimenti misti e visioni che si contraddicono, nel mio panorama di oggi. La promessa chiamata di Angelo non c’è e mi chiedo quante delusioni potrò ancora sopportare, quanti ritardi e quante mancanze, di lavoro, di attenzione, di senso.

22 settembre 2002

La sensazione continua, attraverso tutto questo mese di promesse ed aspettative, è una di fine, di conclusione. Non riesco a trovare corrispondenze tra ciò che vedo e quello che conoscevo, quasi per nulla.

Trovo tutto questo molto consolante, intendiamoci, mi pare quello che ho sempre auspicato avvenga, perché ho sempre atteso che il corso delle cose possa sospendersi, per ridirezionarsi, e mai mi ricordo una così scarsa necessità di identità, comunità e progetto nella mia visione, perciò: largo alla mutazione, sempre meno evitabile, sempre meno difficile.

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